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per Ernesto

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Non leggete questo libro con l’unico intento di ottenere nuove informazioni, ma provate a utilizzare subito, nella pratica, quanto vi trovate d’utile”; questa esortazione proviene dal IV capitolo di A regola d’Arte, e in particolare dal paragrafo Imparare ad ascoltare. Si tratta del lucido programma, eminentemente altruistico, che Ernesto Saquella proponeva costantemente a tutti, e soprattutto a se stesso, sin dal giorno in cui intuì la possibilità del passaggio dall’Io al Noi. L’esperienza che rese concreta tale intuizione è da lui stesso raccontata ne La Rosa rossa.
L’intera produzione artistica e letteraria di Ernesto Saquella è caratterizzata da una straordinaria unitarietà e, mentre il linguaggio utilizzato si è di volta in volta adattato alle diverse tematiche, il suo universo espressivo ha sin da subito mostrato intendimenti precisi e profondi.
Già nel breve testo di accompagnamento alla sua prima cartella grafica, Ernesto Saquella afferma con sicurezza le sue motivazioni estetiche: “Astrattista? No! Tengo a precisarlo con vigore: dipingo esclusivamente ciò che vedo, rappresento la realtà della commedia quotidiana di uomini e cose senza l’illusorio velo di una beltà desueta ed idilliaca. (…) Accettazione consapevole del nuovo ordine non scritto ma consumato, utilizzazione disinibita dei nuovi mezzi espressivi. (…) Più che darci un’estetica etica, semplice adesione a codici prima o poi etichettabili, occorre porre l’accento sulla ricerca, pura ed aristocratica, rivolta all’individuo e non alla massa”.


Con queste parole prendeva le distanze da quella che anni dopo definirà ironicamente “biped-art”, vale a dire dalla totalità delle correnti artistiche che usano il concetto come pretesto creativo, e null’altro. Del resto, da conoscitore ed estimatore del pensiero di Pasolini, egli percepiva e condivideva la disarmante onestà delle sue posizioni: “Insisto a dire che non sono moderno, nel senso che ha correntemente questa parola nelle medie discussioni letterarie. Lo sono – spero – nel senso profondo della parola. La pittura astratta, per esempio, è moderna nel senso corrente della parola: per me essa è invece, nel senso profondo, vecchia, vecchia: putet, quatriduana est! (puzza, è un cadavere di quattro giorni). Prodotto tipico e glorioso del neocapitalismo, essa lo rappresenta integralmente: obbedisce cioè alla sua richiesta di mancanza di intervento da parte dell’artista: ‘Artista, occupati delle tue cose interiori! La tua arte sia il grafico della tua intimità, magari la più profonda e inconscia!’: questo richiede il capitale all’artista. E il pittore astratto, trionfalmente, esegue l’ordine: e, perduto nei deliziosi-angosciosi meandri della sua intimità, ha perfino il privilegio di non sentirsi privo di orgoglio. Anzi, di credere di ubbidire all’ispirazione segreta e meno… borghese” (22 novembre 1962).
Il soggetto dell’opera visiva diviene l’occasione per cicli di variazioni estremamente elaborate, proprio come accade in musica, con fasi di vertiginoso allontanamento dal tema principale per poi riprenderlo rinnovato e sublimato nella sua iniziale semplicità.






Il primo ciclo, Griglie, mette in scena i mortificanti reticoli che soffocano la vitalità delle anime libere. Il contemporaneo interesse per la grafica, con cartelle a tema ed esemplari singoli, intende rappresentare l’apparente staticità del mondo del pensiero simbolico. Il ciclo Città unisce i due motivi precedenti lasciando coesistere staticità e movimento: all’immobilità del paesaggio di superficie, raccontato con sagome che sottintendono il rumoroso lavorio a terra, si contrappone una fantastica e silenziosa vita sospesa nel vuoto, con alberi, imbarcazioni a vela, palloncini a gas, palloni aerostatici, pesci. Seguono i cicli meno iconici dell’intera produzione artistica di Ernesto Saquella: Albeggiare, Apici e Astrattismo lirico. Secche contrapposizioni cromatiche, dinamiche verticalità, enigmatiche trasparenze, sperimentazione materica. Come lui stesso avverte, è in atto una cosciente evoluzione percettiva: “È un confronto tra la profondità del nostro essere e l’immensità di tutto quello che è altro da noi. Ci pervade una vertigine, prendiamo coscienza che esistono dentro di noi delle forze latenti, delle immani riserve di potenze buone o cattive che abbiamo ricevuto in eredità dal passato”. A questo periodo risale la concezione delle Torri di luce, un progetto di arredo urbano il cui plastico è visibile lungo la scalinata che conduce agli uffici del Comune di Campobasso. Gradualmente, da pioniere, sposta l’attenzione dal pensiero simbolico al pensiero digitale, dall’atomo al digit, dalla materia alle entità immateriali.

 

 

 

Il ciclo Story board presenta una ricca serie di ipertesti visivi con interventi manuali, bozzetti singoli o rielaborati in complesse successioni allestite anche casualmente. È il periodo dei saggi Dallo spazio euclideo al ciberspazio - Quale cultura per il terzo millennio?, Verso il millennio virtuale - La rivoluzione tecno-antropologica prossima ventura, Il pensiero digitale - Cavalieri del ciberspazio e creatività nell’era di internet, Dialogo sull’alchimia, della tecnica mista in cui coesistono infografica e sostanze organiche, delle cornici barocche, dei mosaici, dell’adesione al movimento internazionale “Archetip’art”.
Fra i titoli delle opere dell’esposizione personale Metamorfosi figura per la prima volta l’allusione alla missione iniziatica dell’artista, Filosofi per mezzo del colore, una composizione in cui La grande odalisca di Ingres è in primo piano con il glifo mercuriale nella mano destra, mentre, introdotto da elementi classici, sullo sfondo galleggia il motivo grafico de La nave dei folli.

 

 


Da questo momento gli studi, le ricerche e le sperimentazioni di Ernesto Saquella prendono una direzione unica, l’esoterismo delle nostre latitudini, pur senza ignorare, trascurare o snobbare gli esotismi delle varie mode culturali continentali. Non esistono più cicli dichiarati e nascono opere che si ricollegano al mondo del mito e del simbolo, basate sulla semplificazione di figure emblematiche, bidimensionali, realizzate con l’ausilio dell’intero bagaglio tecnico a sua disposizione: l’albero, il pesce, le cifre alchemiche, le energie, i quattro elementi, la quintessenza, le croci ottagone. Possiamo, tuttavia, individuare ancora tre importanti gruppi di opere: Alberi musicali, Il Mistero, tredici opere realizzate in duo con il fotografo Giuseppe Terrigno, e Mamozio, opera unica su tavola, forse incompleta, risultato di un lungo lavoro di ricerca testimoniato dalle decine di studi preparatori dagli esiti vari e raffinati. Il nome di quest’ultima opera, che raffigura un’insolita sintesi di simboli ermetici, si riferisce al primo restauro della statua puteolana del governatore romano Mavorzio, ma anche al fatto che questi fu il dedicatario del trattato di astrologia di ispirazione neoplatonica De Nativitatibus sive Matheseos libri VIII. A quest’ultimo periodo appartengono gli scritti La Rosa rossa, Apollo e Marsia, Il simbolismo geometrico, Il Pesce, A regola d’arte.

 

 

 

Ernesto Saquella era nemico di ogni futilità e non soffriva di ansie di posizionamento e di visibilità. Dopo gli anni degli studi e delle prime importanti esperienze creative in giro per l’Italia, scelse di rientrare a Campobasso per dare il suo contributo alla sua terra: “Nel 1994 ho compreso che se le mie radici erano nel Molise, allora dovevo rientrare nel Molise. L’ho fatto, e dopo un decennio sono ancora qui. (…) Non dobbiamo creare, parlare e scrivere del Molise ma creare, parlare e scrivere dal Molise. Con l’autorevolezza che deriva dal riconoscimento di chi è altro rispetto a noi”.
Nella sua Bottega d’Arte a S. Stefano costruì una ricchissima biblioteca, in ogni volume sono segnate le date di lettura e di rilettura, e basta guardare gli oltre quattrocento titoli presenti nella bibliografia di A regola d’arte, o meditare sulla pertinenza delle lunghe citazioni, per avere un’idea della sua preparazione culturale, tanto solida da permettergli di pronunciare a memoria interi passaggi da Plotino, Apuleio o Giordano Bruno.

 




La sua generosità era straordinaria e quando, in occasione di qualche esposizione, gli veniva chiesto di lasciare un’opera, lasciava la più importante e rappresentativa. Altre volte ne realizzava ad hoc per il puro piacere di donarle. Per esempio, uno dei suoi alberi, ispirato allo stemma della città di Oratino, è ora nella casa comunale di quella città, mentre un altro, dal titolo Árvore de Hiram, è in Brasile, nei magnifici ambienti della loggia massonica Amor à Justiça di Itatiba.
Spinto dalle profonde motivazioni descritte ne La Rosa rossa, nella primavera del 2002 Ernesto Saquella entrò in Massoneria, nella “R. L. Nuova Era n. 771 all’Oriente di Campobasso”. Ne uscì, deluso e vessato, dopo poco più di quattro anni, nell’estate del 2006. Ciononostante, dall’inverno 2010 esiste la “R. L. Ernesto Saquella n. 1366 all’Oriente di Campobasso”.
Chiudo con una mia personale considerazione: le opere visive e letterarie di Ernesto Saquella contengono la sua essenza altruistica e la sua sincerità, ciò che passa attraverso di esse è ciò che è passato attraverso il loro autore, e chiunque si avvicini ad esse con animo libero può percepire la forza che le ha generate e che non muore; è questa vita, e non la mutria culturalistica, il vero e più intimo senso dell’arte.



apa, maggio 2014